Il libro Big Bang Disruption estende i concetti già introdotti dagli studi del prof. Christensen sull’innovazione di tipo disruptive, applicandoli all’emergente mondo digitale e ai suoi nuovi prodotti, che stanno sempre di più rivoluzionando interi settori, secondo le logiche di trasformazione e distruzione del valore partendo “dal basso”.

La teoria di Christensen

Secondo la teoria di Christensen, i prodotti e servizi disruptive, al momento della loro introduzione sul mercato, rappresentano alternative peggiori – in termini di performance – rispetto ai beni e prodotti già presenti sul mercato. Nel tempo, attraverso lo sviluppo incrementale, questi riescono a migliorare la qualità dell’offerta e a guadagnare quote di mercato, fino a sostituire le tecnologie esistenti. Il trend è graduale e progressivo, e può durare diversi anni o anche più di un decennio.

La teoria di Downs e Nunes

Nell’era digitale, secondo Larry Downes e Paul Nunes, la distruzione di valore non avviene attraverso una sostituzione progressiva, bensì attraverso trasformazioni estremamente rapide: le nuove tecnologie – spesso in formato digitale – riescono ad offrire fin dalla loro introduzione alternative più economiche e più performanti (“better & cheaper alternatives”). In questo modo, il mercato mainstream può sostituire in tempi estremamente brevi la tecnologia esistente con i prodotti e servizi offerti dai nuovi entranti.

Un esempio, rappresentato nel capitolo introduttivo, è il seguente: quali prodotti sono stati rimpiazzati negli ultimi anni da un’app sullo smartphone? La lista include – attualmente – fotocamere, videocamere, mappe, navigatori, orologi, lettori mp3 o walkman, pagine gialle, chiavi, radio, portafogli, biglietti aerei, giornali, riviste, telecomandi, guide turistiche, calcolatrici, sveglie, timer, registratori, torce elettriche e conti correnti. Per ognuno di questi prodotti “analogici” ne è presente una versione digitale, quasi sempre gratuita e disponibile sul proprio cellulare, con performance migliori rispetto ai prodotti “tradizionali”.

Le innovazioni disruptive nel mondo digitale: la teoria del Big Ben

Il libro è diviso in due parti: nella prima, gli autori analizzano il fenomeno delle innovazioni disruptive nel mondo digitale definendone le caratteristiche, le condizioni economiche e il ciclo di vita. Nella seconda parte, Downes e Nunes descrivono le quattro fasi della disruption, fornendo indicazioni sulle strategie da adottare per sopravvivere alla “distruzione” del mercato sia per nuovi entranti che per le aziende già presenti. L’intero processo viene descritto attraverso un parallelismo con le quattro fasi della teoria del Big Bang:

  1. “Singularity” (singolarità)
  2. “Big Bang” (scoppio)
  3. “Big Crunch” (contrazione)
  4. “Entropy” (entropia)

Quali sono le caratteristiche di un’innovazione big bang?

Secondo gli autori, tutte le innovazioni di questo tipo sono caratterizzate da una strategia non disciplinata (“undisciplined strategy”), da una dinamica di crescita senza vincoli (“uncostrained growth”) e da uno sviluppo libero da oneri (“unencumbered development”). Contrariamente alla teoria strategica tradizionale, che suggerisce di concentrarsi sulle dinamiche di prezzo o sulla performance per generare un vantaggio competitivo, le innovazioni big bang offrono prodotti “indisciplinati” – migliori e più economici da subito. Allo stesso modo, la diffusione segue una traiettoria verticale: l’offerta non viene adottata da una nicchia di consumatori e progressivamente proposta al mercato di massa, ma viene subito lanciata a tutto il mercato, permettendo una crescita immediata. Infine, la maggioranza delle innovazioni big bang non si basa su tecnologie proprietarie, ma dalla (ri)combinazione di tecnologie disponibili a costi ridotti e dalla sperimentazione di diversi modelli di business associati. Tutte le combinazioni non favorevoli vengono immediatamente eliminate, ma il giusto mix tra tecnologia e modello di business sperimentale dà vita al processo. Utilizzando una frase degli autori, un’innovazione di tipo big bang è “solo un esperimento che è andato estremamente bene”.

Rispetto alle innovazioni tradizionali, che seguono il ciclo di vita teorizzato da Everett Rogers nel 1962, il ciclo di vita delle innovazioni big bang appare molto più compresso: il nuovo segmento di mercato nasce ed esplode in pochissimo tempo (pochi anni o anche mesi, in alcuni casi) ma allo stesso modo si contrae e termina la esistenza a causa dell’insorgenza di nuove disruption. Il mercato assume la forma a pinna di squalo (“shark fin”), riportata nella figura seguente.

Come evolvono le varie fasi del processo?

La fase di singularity parte da un mercato consolidato e maturo, in cui – secondo la teoria – le aziende presenti riducono gli investimenti relativi a nuovi prodotti o servizi, e si concentrano sull’efficientamento del sistema attorno alla tecnologia adottata. In questo ambiente tranquillo, alcune aziende continuano a sperimentare con diverse combinazioni tecnologiche e nuovi modelli di business. La stragrande maggioranza di questi esperimenti (a basso costo) falliscono, finché una combinazione non riesce a raggiungere risultati positivi, creando un nuovo segmento. Nel giro di poco tempo, lo sviluppo di quest’idea in prodotti e servizi porta alla seconda fase, quella dello scoppio.

In questa fase, l’innovazione guadagna in pochissimo tempo una massa critica di clienti, crescendo esponenzialmente. L’azienda innovatrice deve riuscire a gestire al meglio la crescita per evitare il fallimento, mentre le imprese concorrenti cercano di limitarne la crescita sfruttando la posizione dominante nel mercato di riferimento – offrendo alternative o cercando di acquistare l’azienda innovatrice.

Una volta raggiunta la saturazione del mercato, però, la contrazione avviene in maniera altrettanto rapida: in questa fase le aziende coinvolte cercano di liberarsi di tutti gli asset produttivi, che in un mercato in declino diventano dei costi, e di restare “liquidi” in attesa dello sviluppo della nuova tecnologia disruptive.

Tutte le imprese che non riescono ad uscire dal mercato in tempo con la nuova distruzione, entrano nella cosiddetta fase di entropia. In questa fase resistono solo aziende legalmente obbligate a servire un mercato obsoleto (es. servizi pubblici come le poste, o aziende automobilistiche che devono fornire pezzi di ricambio e assistenza per il proprio parco auto anche dopo la cessazione delle attività).

Quali sono le regole per gestire al meglio le quattro fasi?

Nella fase di singolarità, gli autori consigliano di:

  1. tenere contatti con visionari e truth-teller di settore, in grado di prevedere gli scenari – e le relative disruption – che emergeranno nel futuro;
  2. di calcolare attentamente i tempi per l’ingresso nel mercato al momento giusto, sia con nuovi prodotti disruptive (per aziende già operanti) sia con innovazioni (per le imprese nuove entranti);
  3. lanciare progetti di collaborazione e sperimentazione di piccola scala assieme a fornitori, clienti e partner, per migliorare la capacità di prevedere la traiettoria di sviluppo futuro.

Nella fase di scoppio, le aziende devono riuscire a:

  1. sopravvivere al proprio successo, adattando o ridisegnando completamente i prodotti/servizi e il modello di business per assecondare la crescita;
  2. catturare il mercato, anche sacrificando profitti a breve termine per raggiungere una posizione di (quasi) monopolio sul nuovo segmento;
  3. rallentare il tempo, nel caso la propria azienda sia non l’innovatrice, ma una vittima del processo di disruption, attraverso concorrenza e/o dispute legali verso gli innovatori.

Nella fase di contrazione è in gioco la sopravvivenza delle aziende del settore, che devono riuscire a:

  1. anticipare la saturazione, minimizzando gli investimenti in asset e in magazzino;
  2. vendere tutti gli asset collegati al nuovo business prima che – con il declino del mercato – questi diventino improduttivi;
  3. realizzare un exit, potenzialmente ai primi segnali di declino.

Infine, per le aziende nella fase di entropia, le opzioni possibili sono le seguenti:

  1. in caso di obbligo a restare in attività, cercare accaparrarsi l’intero mercato ancora esistente, benché ridotto;
  2. convertire la propria attività e diventare fornitori di altre aziende;
  3. utilizzare le risorse esistenti per sviluppare un nuovo business, verso la ricerca di una nuova singularity, per ricominciare il ciclo.

LE NOSTRE CONSIDERAZIONI

Il libro di Downes e Nunes estende il lavoro di Christensen, contestualizzandolo alla sempre maggior diffusione di business e piattaforme digitali, in grado di rimpiazzare una grande quantità di prodotti e servizi con applicazioni migliori e a costo zero, o prossimo allo zero. Questa trasformazione ha spesso effetti distruttivi per tutte le imprese dei settori coinvolti. In particolare, l’esempio proposto dagli autori sull’evoluzione del mercato delle mappe per la navigazione esemplifica appieno il concetto: dalle imprese specializzate nella produzione di mappe in cartaceo, all’avvento dei primi navigatori per auto fino a Google Maps. Alla prima fase di digitalizzazione, dove imprese come Tomtom e Garmin si sono specializzate a vendere navigatori digitali basati su tecnologia gps, seguita in pochissimo tempo dall’offerta gratuita dello stesso servizio come parte delle applicazioni di base sui cellulari android, utilizzata da google come piattaforma per il proprio advertising. Questa trasformazione ha completamente distrutto il modello di business dei produttori di gps, offrendo un servizio comparabile in termini di performance ad un prezzo pari a zero.

Questo processo di rapida disruption non rappresenta però una panacea per tutti gli innovatori: questi devono calcolare l’entrata nel mercato al momento giusto, e devono riuscire a sopravvivere alla crescita esponenziale del loro business, modificando in corsa la propria offerta – anche a scapito di profitti – per riuscire a conquistare una posizione dominante e difendersi dalla competizione. Una volta raggiunto l’obiettivo, poi, devono essere in grado di anticipare la saturazione del mercato e svincolare i propri asset per restare liquidi, e investire in nuove offerte disruptive.

Oltre ai chiari parallelismi con il lavoro di Christensen, gli autori mettono in evidenza le differenze con il famoso modello di diffusione dell’innovazione di Rogers, ed evidenziano come la continua sperimentazione, agile e a basso costo (come ipotizzata nel modello lean startup) e spesso effettuata in partnership con gli attori dell’ecosistema (non menzionato, ma molto simile al modello di Open Innovation) sia la strada per tutte le imprese in un settore per prevenire, anticipare e mitigare gli effetti di un’innovazione distruttiva.

IL LIBRO IN PILLOLE

  • Con l’avvento del digitale, il processo di disruption è accelerato, e molti settori sono caratterizzati da dinamiche innovative distruttive su base continuativa.
  • La disruption continua segue un processo simile ad un’esplosione, o big bang.
  • Le innovazioni big bang, a differenza di quelle disruptive, offrono da subito beni e servizi più economici e più performanti rispetto agli esistenti.
  • Il ciclo di vita dei mercati innovativi è composto da quattro fasi:
    1. singolarità
    2. scoppio
    3. contrazione
    4. entropia
  • Per gestire la fase di singularity, le aziende devono avere una chiara visione dello sviluppo dei mercati, devono sviluppare esperimenti in scala ridotta per testare nuovi modelli di business e devono calcolare i tempi per l’ingresso nei nuovi segmenti emergenti e potenzialmente disruptive.
  • Nella fase di Big Bang (scoppio), le aziende devono sopravvivere alla crescita improvvisa e cercare di acquisire una posizione di monopolio, resistendo alla concorrenza e alle possibili azioni legali delle altre imprese presenti.
  • Nella fase di Big Crunch (contrazione), le aziende devono calcolare al meglio la propria uscita dal mercato, restando liquide, liquidando tutti gli asset coinvolti nel nuovo business e cercando di anticipare la saturazione del mercato.
  • Nella fase di entropia, le aziende ancora esistenti possono cercare di diventare monopolisti del mercato restante o convertire la propria attività come fornitori di altre aziende o verso una nuova singularity, per far ripartire il ciclo di innovazione.