Scritto da Federico Moretti

Il riassunto del libro

Talking to Strangers è un libro bestseller pubblicato nel 2019 da Penguin Books. L’autore, Malcolm Gladwell, è un giornalista e sociologo canadese, autore di diversi bestseller in ambito psicologico, sociologico ed economico, come The Tipping Point (2000), Blink (2005) e Outliers: the Story of Success (2008). Talking to Strangers è il suo sesto volume.

Il libro non è necessariamente un trattato economico, ma descrive e analizza nel dettaglio un’attività fondamentale per l’umanità, ovvero quella di interagire con perfetti sconosciuti. All’interno delle sei sezioni principali del libro, e attraverso una serie di esempi e casi studio – dal controspionaggio cubano ai danni della CIA, agli incontri del primo ministro Inglese Chamberlain con Hitler prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, passando per il ruolo di Amanda Knox nell’omicidio di Meredith Kercher, fino all’incontro finito molto male tra Sandra Bland l’agente Brian Encina nel luglio 2015 (che apre e chiude il libro) – Gladwell racconta i punti fondamentali all’interno delle interazioni tra due (o più) sconosciuti, da tenere in considerazione per interpretare – o prevenire – cosa possa andare storto.

Nella prima parte, l’autore utilizza la storia di Florentino Aspillaga, un ufficiale dell’intelligence cubana – e della sua diserzione avvenuta nel 1987 – che ha permesso di identificare che praticamente tutto l’ufficio della CIA di sede a Cuba operava per conto di Fidel Castro, fornendo informazioni false o inventate al governo Americano, e racconta le impressioni del primo ministro Inglese Chamberlain (e di tutto il suo staff) durante e dopo una serie di tre incontri avvenuti con Hitler, il quale assicurava gli emissari inglesi nel 1938 che la sua azione militare si sarebbe limitata all’annessione di una parte dell’allora Cecoslovacchia, senza proseguire verso la Polonia o altri Stati sovrani. In entrambi i casi, l’autore sottolinea l’incapacità di identificare chiaramente quando una controparte sconosciuta stia mentendo. Non solo di fronte a persone comuni e poco allenate nell’analisi del comportamento della controparte, ma anche di fronte a navigati diplomatici o ufficiali dell’intelligence, il cui lavoro dovrebbe essere proprio quello di analizzare informazioni e comportamenti, e smascherare eventuali menzogne. Come è possibile non essere in grado di comprendere quando una persona sta mentendo?

Secondo Gladwell, come esseri umani siamo tutti soggetti a quello che lui definisce “default to truth”, ovvero una tendenza involontaria ad aspettarci che chi abbiamo di fronte, anche se un completo sconosciuto, stia dicendo la verità. Questo fenomeno è talmente radicato nella natura umana che spesso nemmeno ci accorgiamo della sua esistenza: tendiamo a credere a quello che ci viene detto se non notiamo delle incongruenze che possano far sorgere il dubbio che le informazioni ricevute siano state fabbricate. E anche nel caso in cui possa sorgere qualche dubbio, automaticamente tendiamo a spiegarlo, o giustificarlo, con le cause che riteniamo più probabili.

“Crediamo a qualcuno non perché non abbiamo alcun dubbio. Aver fiducia non significa non avere alcun dubbio. Crediamo a qualcuno perché non abbiamo abbastanza dubbi su di loro.”

Ed è per questo motivo che alcuni individui, come Ana Montes – un’agente della Defense Intelligence Agency (DIA) americana – è riuscita a nascondere il suo ruolo di spia per conto del governo cubano a tutti i suoi colleghi dell’intelligence per oltre sedici anni (dal 1985 al 2001), o Hitler è riuscito a convincere tutti gli emissari inglesi della bontà delle sue intenzioni solo poche settimane prima dell’invasione della Polonia. Come umani, siamo portati a pensare che tutti – anche gli sconosciuti – stiano dicendo la verità, per evitare di dover ipotizzare cosa potrebbe succedere qualora questo non fosse vero. Nel caso specifico, è più facile ipotizzare che una collega abbia abbandonato una riunione per motivi di salute, o credere che questa sia una spia cubana? Credere che un capo di stato stia dicendo la verità, o ipotizzare che stia progettando da anni un conflitto su scala globale? In mancanza di chiari ed evidenti segnali verso la seconda ipotesi, istintivamente tutti tendiamo a scegliere la prima ipotesi.

Paradossalmente, basando l’opinione solo sui fatti a disposizione, senza entrare in contatto diretto con gli sconosciuti, permette di avere una più accurata visione su verità o menzogne. Questa strategia è particolarmente efficace in presenza di individui che non si conformano alle norme di comportamento o ai segnali che ci aspettiamo in caso di menzogna: ovvero, coloro che non mostrano una reazione “normale”. Nel caso specifico, Gladwell mostra come Bernie Madoff, autore di una delle più grandi frodi a livello finanziario, sia riuscito per diversi decenni a convincere tutti i maggiori investitori e operatori del settore finanziario della bontà della sua strategia di investimento, o Amanda Knox sia stata accusata e condannata nei primi gradi di giudizio del processo per l’omicidio di Meredith Kercher, sebbene tutte le prove e le testimonianze a disposizione dimostrassero che questa non fosse sulla scena del delitto. I comportamenti non conformi – o meglio, i segnali non conformi – sono quelli che alimentano o riducono un sospetto verso uno sconosciuto: nel caso di Madoff, creando un’immagine di fiducia nonostante i dati sugli investimenti raccontassero che i risultati raggiunti erano matematicamente impossibili; nel caso Knox, l’assenza di emotività e tristezza a seguito dell’omicidio della coinquilina, che hanno alimentato i sospetti dell’opinione pubblica e degli inquirenti su un suo possibile coinvolgimento nel delitto.

Non solo i segnali personali, ma anche lo stato in cui avviene un’interazione può influire radicalmente su quest’ultima: nel caso in cui gli individui coinvolti siano alterati (da alcol o altre sostanze) o in condizioni di stress estremo (es. in stato di prigionia o durante un interrogatorio), le informazioni scambiate possono non avere alcun senso, essere totalmente rimosse dalla memoria (dimostrando l’esistenza di blackout dell’attività celebrale) o essere manipolate a piacimento, nel caso in cui lo stato “disfunzionale” della controparte non venga correttamente riconosciuto e gestito.

Infine, negli ultimi capitoli, Gladwell mostra come l’interazione sia radicalmente dipendente dal contesto, grazie ad un meccanismo di associazione automatica (“coupling”): prendendo ad esempio diversi casi, dall’incidenza dei tassi di suicidio legati a certi luoghi o dalla distribuzione non proporzionale delle attività criminali all’interno delle principali città americane, l’autore propone che un cambio nel luogo possa avere effetti radicali sull’interazione: da delinquenti che – a causa di un incremento sostanziale dei controlli nel loro quartiere – decidono di cambiare carriera e dedicarsi ad attività lecite, piuttosto che spostare la propria attività, o l’adozione di misure di sicurezza aggiuntive possono convincere i potenziali suicidi a desistere dall’atto, piuttosto che cambiare modalità.

Alcune considerazioni

Il libro affronta una tematica estremamente importante come quella della comunicazione (o meglio – dei possibili errori o malfunzionamenti che possono avvenire in una conversazione). Gladwell introduce un collegamento indiretto anche con il principio 80/20, già affrontato all’interno di questa rubrica. Negli ultimi capitoli del libro, viene infatti presentato lo studio sulla distribuzione delle attività criminali nelle principali città americane (il risultato è che circa il 50% dei crimini commessi è riconducibile ad un’area spesso compresa tra il 2 e il 3% dell’intera città). Purtroppo, i risultati di questa correlazione hanno portato – negli anni – alla creazione di una strategia di pattugliamento ed investigazione che ha avuto come diretto risultato un peggioramento dei rapporti tra la popolazione e gli agenti di polizia, come rappresentato dall’esempio che apre e chiude il libro.

Questo tema ha diverse implicazioni anche nel mondo business, soprattutto per quanto riguarda l’attività di lead generation, il rapporto con i clienti non ricorrenti, e la gestione dei possibili conflitti interni all’azienda. Sebbene non direttamente citati, alcuni suggerimenti possono emergere soprattutto relativamente all’ultimo punto: in previsione di un possibile conflitto, modificare il luogo e lo influenzare lo stato della controparte può garantire un’interazione migliore. Allo stesso modo, testare nuovi canali di comunicazione può portare ad un miglioramento dell’attività di lead generation e rapporti con la clientela.

In generale, il libro è consigliato a chiunque voglia ampliare la propria conoscenza su alcuni temi e tecniche della comunicazione, a tutti i livelli.

Il libro in pillole

  • Le conversazioni con perfetti sconosciuti possono essere estremamente difficili da interpretare: non solo per le persone comuni, ma anche per individui altamente specializzati in analisi psicologica o nella negoziazione.
  • Nella quasi totalità dei casi, tendiamo a credere a quanto ci viene detto da chi abbiamo di fronte, in assenza di chiari ed evidenti segnali che quanto riportato possa essere falso.
  • Anche in presenza di alcuni dubbi, tendiamo a spiegare “razionalmente” il comportamento della controparte, se non in possesso di prove contrarie.
  • L’identificazione della verità o della menzogna appare ancora più complicata in presenza di controparti “disallineate”, ovvero con un comportamento non conforme alle attese dell’interlocutore.
  • Lo stato in cui avviene la conversazione, se influenzato da fattori esterni (es. stress, o sotto l’effetto di sostanze) può invalidare la qualità delle informazioni scambiate, anche se la controparte sembra avere un comportamento “normale”.
  • Oltre allo stato psicofisico, i comportamenti sono spesso associati ad un luogo preciso: spesso, modificando il luogo, la controparte può decidere di alterare completamente il suo comportamento.