Perché le aziende leader di un settore falliscono?

E perché questo succede all’emergere di alcune dinamiche di mercato o all’introduzione di particolari innovazioni tecnologiche?

Il lavoro di Christensen cerca di rispondere alle domande sul perché mantenere il successo sia difficile nel lungo periodo, anche per aziende leader consolidate di un settore, e sul perché l’innovazione appaia “imprevedibile” in diversi mercati.

Nel libro (diviso in due parti) l’autore analizza come alcune decisioni strategiche circa l’innovazione, prese da direttori e manager di aziende consolidate, possano portare al fallimento delle aziende stesse. In particolare nella seconda parte del libro, Christensen cerca di risolvere il cosiddetto “dilemma dell’innovatore”, ovvero di identificare l’insorgere le dinamiche competitive per cui le innovazioni tecnologiche portano alla distruzione di valore da parte dell’azienda, e come i dirigenti – bilanciando gli investimenti innovativi di breve termine e lungo termine – possano prevenire questa “distruzione”.

Christensen identifica due diverse categorie di innovazione:

  1. Sustaining, ovvero tutte quelle tecnologie che hanno il compito di migliorare la performance dei prodotti e servizi offerti dall’azienda. Queste si posizionano all’interno della traiettoria di sviluppo tecnologico principale del mercato, e portano ad un miglioramento incrementale rispetto ai prodotti e servizi già offerti.
  2. Disruptive, a differenza delle innovazioni incrementali, queste hanno (almeno inizialmente) una performance peggiore dei prodotti e servizi presenti sul mercato, ma hanno caratteristiche che le rendono appetibili ad alcuni gruppi di consumatori, solitamente nuovi. Le innovazioni disruptive normalmente si posizionano come “alternative” ai prodotti del mercato di massa, e sono caratterizzate dal fatto di essere più convenienti, più semplici, più economiche o più facili da utilizzare.

 I 5 PRINCIPI ALLA BASE DELLE DISRUPTIVE INNOVATION

Come è possibile che queste innovazioni riescano a rivoluzionare interi mercati, partendo da una performance peggiore e da caratteristiche richieste solamente da alcuni clienti nella fascia più bassa – e quindi meno redditizia – del mercato? Secondo Christensen, esistono cinque principi che descrivono questa dinamica.

  1. le aziende dipendono dai clienti e dagli investitori per il reperimento delle risorse. Le imprese sono vincolate a sviluppare tecnologia sulla base delle risorse esistenti: le imprese nella fascia più alta del mercato competono per rilasciare prodotti e servizi sempre all’avanguardia per servire i principali clienti. Queste devono quindi investire tutte le risorse per accontentare i clienti, e non possono investire parte del budget per la sperimentazione di tecnologie per servire clienti nella fascia bassa del mercato (low end).
  2. i mercati “piccoli” non risolvono i problemi di crescita delle grandi aziende. Per crescere, le grandi aziende devono generare decine o centinaia di milioni (a volte anche miliardi) di fatturato aggiuntivo ogni anno. Per questo motivo, l’identificazione di un segmento low-cost all’interno del proprio mercato di riferimento, con redditività ridotta, non rappresenta un’opzione valida per un investimento.
  3. i mercati che ancora non esistono non possono essere analizzati. Le innovazioni disruptive sono tali perché vanno a creare nuovi mercati partendo dal “basso”, che progressivamente vanno a erodere quote (e quindi a distruggere valore) nei mercati preesistenti. L’approccio strategico tradizionale, basato sulla ricerca estensiva delle dinamiche esterne di un mercato e la successiva esecuzione di un piano di business, in queste condizioni, non rappresentano misure efficaci.
  4. le competenze distintive di un’organizzazione determinano le debolezze di quest’ultima. Le competenze distintive di un’azienda – date dalla combinazione dei processi e dei sistemi aziendali con i valori caratteristici di un’impresa – sono di difficile trasposizione da un contesto all’altro: un impiegato con competenze specifiche per un ruolo generalmente non è in grado di replicare gli stessi livelli di performance se spostato in un ruolo differente. Allo stesso modo, aziende di successo costruite attorno ad alcuni tipi di innovazione tecnologica soffrono nel convertire le stesse competenze se “spostate” su nuovi prodotti o servizi.
  5. l’offerta tecnologica di un mercato può non essere allineata alla domanda. Inizialmente, le innovazioni disruptive vengono adottate in segmenti molto distanti dal mercato “di massa”, che richiede prestazioni più elevate. Nel tempo però, col miglioramento progressivo dell’offerta, la domanda del “mass market” potrebbe migrare verso la traiettoria dell’innovazione disruptive, a scapito di quella attuale.

In generale, Christensen identifica lo sviluppo e l’impatto delle innovazioni sustaining e disruptive nel tempo come riportato nella figura sottostante.

Sviluppo e impatto delle innovazioni sustaining e disruptive nel tempo

Le due linee continue mostrano la traiettoria di sviluppo dei due tipi di innovazione: sustaining (linea in alto) e disruptive (linea in basso), mentre le righe tratteggiate rappresentano la performance richiesta ai prodotti/servizi offerti da parte dei clienti di tutto il mercato.

Le due coppie di linee hanno un coefficiente angolare diverso: l’offerta cresce più velocemente della domanda. Tutte le aziende nel mercato innovano più velocemente di quanto venga richiesto dai clienti. Questo, nel tempo, crea un superamento delle aspettative (overshooting effect): le caratteristiche dei prodotti e servizi offerti sono ben oltre quelle richieste dai consumatori. Questa dinamica porta alla creazione di innovazioni disruptive nella parte bassa del mercato: queste, all’inizio, non hanno caratteristiche sufficientemente performanti per essere appetibili per il mercato (la linea tratteggiata – domanda – è al di sopra della linea continua – offerta). Col tempo, però, queste raggiungono performance accettabili per i clienti, che “saltano” dalla traiettoria più in alto verso il nuovo paradigma tecnologico. Le aziende che adottano la nuova tecnologia restano sul mercato, mentre quelle che restano sulla traiettoria più in alto sono destinate a perdere la propria clientela di riferimento.

Questa dinamica si è manifestata nel mercato dei computer, e la sua evoluzione dai mainframe (fino ai primi anni 70), ai minicomputer (dalla seconda metà degli anni 70), ai personal PC (dagli anni 80) e infine ai portatili (dalla fine degli anni 80). Ogni nuovo modello introdotto, inizialmente, mostrava performance ben peggiori dei prodotti esistenti, ma col tempo il mercato si è convertito a prodotti con caratteristiche sempre diverse – riducendo la dimensione dell’hardware – per target sempre diversi – dalle aziende ai singoli consumatori.

L’emergere di innovazioni disruptive non è prerogativa del mondo informatico: anche in altri settori, come quello degli escavatori, si è registrata una simile trasformazione dalle ruspe meccaniche (utilizzate principalmente da imprese edili per grandi scavi) a quelle idrauliche (più piccole e manovrabili, utilizzate per piccoli scavi). Anche in questo caso, la tecnologia disruptive mostrava una performance decisamente peggiore rispetto ai prodotti sul mercato, ma nel tempo – dai primi anni 20 alla metà degli anni 30 – questa ha progressivamente sostituito la tecnologia mainstream.

DISRUPTIVE INNOVATION APPLICATA AL MERCATO

Partendo dal presupposto che le aziende dipendono dalle proprie risorse, e dall’allocazione delle stesse nei diversi progetti, i manager di aziende consolidate possono sviluppare progetti per testare e commercializzare tecnologie disruptive all’interno di organizzazioni specializzate – come nuove aziende controllate, spinoff o joint venture. Queste restano controllate “di fatto” dalla casa madre, ma sono spesso collocate geograficamente “a distanza” per permettere di sperimentare ed evolvere in maniera indipendente.

Dato che le piccole opportunità di mercato non soddisfano le richieste di crescita di una grande azienda, creare una piccola azienda specializzata permette alle imprese leader di sperimentare con la nuova tecnologia come se fosse una startup in un nuovo mercato, dove ogni piccola “vittoria” sul mercato viene considerata una milestone fondamentale.

I nuovi mercati non sono facilmente analizzabili, causa l’assenza di dati e di proiezioni affidabili: l’unica modalità per ricercare tecnologie disruptive valide è quella di effettuare esperimenti di piccolissima scala (per minimizzare le spese) su base continuativa: molti progetti daranno risultati negativi e verranno abbandonati. Quelli che passeranno la prima sperimentazione verranno successivamente inseriti in sperimentazioni sempre maggiori, fino a diventare aziende vere e proprie nel tempo.

Dato che le innovazioni disruption fanno riferimento alle “debolezze” e ai bisogni non soddisfatti dalle tecnologie attuali, le imprese consolidate cercano di non contaminare la nuova realtà aziendale deputata allo sviluppo innovativo, fornendo alcune risorse ma cercando di non trasferire processi e sistemi aziendali della casa madre.

Infine, dato che lo sviluppo tecnologico non è allineato con la domanda, nella commercializzazione delle tecnologie disruptive, le imprese consolidate di successo sono riuscite a creare un vero e proprio “nuovo mercato” di consumatori, attraendo segmenti che non facevano parte del mercato originario. Questa opzione permette di aumentare la dimensione totale del mercato, e di non cannibalizzare il proprio mercato di riferimento con alternative meno profittevoli.

LE NOSTRE CONSIDERAZIONI

Il libro di Christensen è sicuramente tra i più conosciuti e celebrati nel mondo business, sin dalla sua pubblicazione: accademici e professionisti di tutto il mondo hanno studiato e approfondito i concetti introdotti dall’autore in modo estensivo negli ultimi trent’anni, spesso utilizzando il termine “disruption” in maniera impropria, per identificare tutte le innovazioni con cambiamenti non solo relativi alla tecnologia, ma anche al modello di business.

Diversi concetti sono inoltre antesignani rispetto ad altre teorie: dalla necessità di creare strutture indipendenti e sperimentare in maniera continuativa minimizzando i costi di sviluppo (the Lean Startup), dall’allocazione di risorse nelle grandi aziende per perseguire diversi tipi di innovazione, incrementale e disruptive (Creative Construction), fino alla necessità di creare un vero e proprio nuovo mercato per commercializzare nuove tecnologie (Blue Ocean Strategy, che verrà analizzato tra un paio di settimane).

Sicuramente, il libro è molto utile per dirigenti e manager impegnati in settori competitivi e caratterizzati da trasformazioni in corso e dalla minaccia di nuovi entranti “low cost”: il libro fornisce indicazioni su come evitare di essere travolti dal nuovo paradigma tecnologico, e come creare una struttura parallela per presidiare la nuova tecnologia senza però cannibalizzare il proprio mercato.

IL LIBRO IN PILLOLE

  • Le innovazioni tecnologiche possono essere sustaining, se forniscono performance migliori dei prodotti e servizi esistenti, seguendo la traiettoria di sviluppo tecnologico consolidata. Diversamente, possono essere disruptive se creano una nuova traiettoria tecnologica partendo dal basso, con performance inizialmente molto peggiori rispetto al mercato ma con caratteristiche appetibili per alcuni segmenti ancora non serviti, normalmente: semplicità, convenienza o facilità di utilizzo.
  • Col tempo e il miglioramento tecnologico, le innovazioni disruptive vanno a sostituire i beni e servizi mainstream, distruggendo valore per le aziende consolidate.
  • I cinque principi che descrivono la dinamica disruptive:
    1. le aziende dipendono dai clienti e dagli investitori per il reperimento e l’allocazione delle risorse;
    2. i mercati “piccoli” non soddisfano i requisiti di crescita delle grandi aziende;
    3. i mercati che ancora non esistono non possono essere analizzati;
    4. le competenze distintive di un’organizzazione determinano le debolezze della stessa;
    5. l’offerta tecnologica di un mercato non è necessariamente allineata alla domanda.
  • Le aziende consolidate che vogliono evitare di essere travolte dalla disruption, possono prendere queste iniziative:
    1. creare un’unità/azienda indipendente dalla casa madre, dove sperimentare “a basso costo” con nuove tecnologie.
    2. la nuova unità deve restare il più possibile indipendente dalla controllante, con cui può condividere alcune risorse ma non deve essere influenzata dai sistemi e dai processi consolidati.
    3. per la commercializzazione di tecnologie disruptive, è consigliabile cercare un segmento nuovo e non ancora servito, per evitare di cannibalizzare il proprio mercato di riferimento.