Il libro si apre mostrando la dicotomia tra le due principali forme di progresso: la tecnologia e la globalizzazione.

La tecnologia (o meglio, il progresso tecnologico) consiste nel creare nuovi prodotti, partendo da zero. La globalizzazione, al contrario, consiste nel portare nuovi prodotti, già esistenti, in aree del mondo ancora non presidiate. Il progresso tecnologico rappresenta la manifestazione del processo creativo, verticale, che sposta la società da 0 a 1. La globalizzazione rappresenta la manifestazione del processo di generalizzazione (o copia), orizzontale, che sposta la società da 1 a n.

Secondo la tesi dell’autore, la creazione – ovvero il progresso verticale da 0 a 1 – rappresenta la forma più difficile di innovazione, ma che porta maggiore progresso per la società.

Le ere possono essere caratterizzate da diverse combinazioni di innovazione, verticale e orizzontale. Secondo Thiel, il secolo dal 1815 al 1914 è stato caratterizzato sia dal rapido progresso tecnologico che dalle spinte verso la globalizzazione. Dal 1915 al 1971, il mondo si è concentrato principalmente su innovazioni tecnologiche, ma con poca attenzione verso la globalizzazione, mentre dal 1971 fino ai giorni nostri l’equilibrio si è ribaltato: tutto il mondo business è caratterizzato dalla sempre crescente globalizzazione, mentre il progresso tecnologico è concentrato in particolari domini, come l’ambito informatico. Ed è proprio in ambito informatico che sono emerse le aziende tra le più grandi e conosciute di oggi: alcune prima della bolla informatica del 2000, altre negli anni immediatamente successivi.

IL MONOPOLIO COME CONDIZIONE NECESSARIA PER L’INNOVAZIONE

Molte aziende del settore informatico operano in contesti “quasi” monopolistici, nel proprio mercato di riferimento: per la teoria economica, questa condizione ha una cattiva reputazione, in quanto ogni surplus generato resta nelle mani dell’azienda che controlla al mercato, e non viene trasferito ad altre aziende concorrenti o al consumatore. Secondo l’autore, invece, la condizione monopolistica, in un sistema dinamico, è l’unica ipotizzabile per lo sviluppo del settore stesso: sono le aziende innovative (e verticali) che – attraverso nuove tecnologie non precedentemente esistenti – riescono a creare un monopolio di fatto nel loro segmento, e grazie a questa condizione possono investire i surplus per generare nuove tecnologie. In presenza di concorrenza, il surplus generato verrebbe investito nel competere in sviluppi “orizzontali”, che non fanno progredire la società e nel lungo periodo rendono inefficienti i mercati.

Per questo motivo, sempre secondo l’autore, le aziende che operano in condizioni di monopolio cercano di nascondere la loro condizione, sia incrementando l’effettiva rilevanza della propria concorrenza, o modificando la percezione del loro mercato di riferimento.

Un semplice esempio: se considerassimo il mercato di Google come quello dei soli motori di ricerca, l’azienda controllerebbe circa il 70% di tutto il settore (nel 2014). Se considerassimo invece la stessa Google come una società del mondo advertising, allora quest’ultima controlla una quota di mercato ben più ridotta: meno del 3,4% di tutto il mercato advertising globale. Nel primo caso, Google è quasi monopolista; nel secondo, è solo uno degli attori coinvolti. Eppure Google, il cui fatturato deriva quasi integralmente dalla pubblicità sui motori di ricerca, investe i proventi nello sviluppo di nuove tecnologie, contribuendo alla creazione di nuovi settori. Questi investimenti, secondo Thiel, non sarebbero possibili se Google non controllasse il mercato di riferimento in condizioni quasi-monopolistiche.

LE CARATTERISTICHE DI UN MERCATO MONOPOLISTA

Quali sono le caratteristiche di un mercato monopolista? E come crearne uno? Thiel identifica quattro condizioni:

  1. la presenza di tecnologie proprietarie, che devono essere almeno dieci volte più performanti di tutti i beni e servizi sostituti disponibili, per creare un nuovo mercato partendo da zero;
  2. la presenza di network effect, per accelerare la diffusione della nuova tecnologia;
  3. la parallela presenza di economie di scala, per rendere maggiormente redditizio il modello di business al crescere della base utenti/clienti;
  4. la presenza di un forte brand per garantire la retention degli utenti all’insorgere delle offerte concorrenziali.

Il percorso per la creazione e diffusione del nuovo mercato prevede – nella fase iniziale – di identificare un segmento target abbastanza grande da poter creare valore per tutti i partecipanti, ma limitato da poter essere conquistato in breve tempo. Nell’esempio di Facebook, il primo mercato di riferimento per Zuckerberg e soci è stato quello dei loro compagni di corso e di tutta l’Università di Harvard. In sole tre settimane dal lancio della prima versione della piattaforma, oltre il 75% degli studenti possedevano un account Facebook. Questa velocità nel saturare il segmento di riferimento ha creato il cosiddetto effetto network necessario per poter aggredire nuovi mercati, sempre più grandi, e garantire la scalabilità del modello di business: prima tutte le università della zona di Boston, poi tutte quelle del nord-est degli Stati Uniti, poi tutte quelle della nazione, poi tutti gli altri utenti su scala nazionale e internazionale.

Per mantenere la propria posizione una volta raggiunta la crescita, secondo Thiel, la condizione è quella di non distruggere valore, sia per la propria azienda sia per quelle che offrono beni e servizi sostitutivi: la disruption tanto in voga nel mondo aziendale può causare effetti estremamente negativi, intensificando la concorrenza di grandi aziende disposte ad avviare guerre di prezzo e battaglie legali, pur di conservare la loro quota di mercato e i profitti generati.

LA TEORIA DI THIEL SU INNOVAZIONE E BUSINESS

Nel libro, Thiel prende in considerazione due dimensioni che spiegano l’approccio verso il business e l’innovazione:

  1. la visione del mondo: ottimista o pessimista;
  2. l’orizzonte temporale di riferimento: definito o indefinito.

Combinando queste due dimensioni, si ottengono quattro combinazioni, riportate nella figura sottostante.

World view of the future

Secondo l’autore, dagli anni 70 l’Europa – o meglio, le aziende Europee – sono caratterizzate da una visione tendenzialmente pessimista, con orizzonte indefinito: l’orizzonte delle scelte è orientato ad investimenti che porteranno profitti nel breve periodo, perché nel lungo periodo è prevedibile una crisi e un peggioramento delle condizioni di mercato. Non si sa quando questa crisi arriverà, ma la minaccia costante diventa propedeutica a tutte le scelte attuali: meglio raccogliere i risultati prima possibile, prima che si manifesti l’evento negativo.

Al contrario, la Cina e le aziende cinesi sono caratterizzate da una visione pessimista, ma con orizzonte definito: in questo momento la situazione è negativa, per cui è necessario continuare a produrre e crescere nel minor tempo possibile: questa visione spiega, almeno in parte, il piano di sviluppo del governo cinese e il focus sulla crescita del prodotto interno lordo, costantemente in doppia cifra nelle ultime tre decadi. Questa crescita finora è avvenuta adottando tecnologie esistenti prodotte in altri paesi (quindi attraverso progressi orizzontali), ma la vera sfida per le imprese asiatiche sarà quella di creare nuova tecnologia (quindi attraverso progresso verticale) negli anni a venire.

La visione ottimista del mondo, secondo l’autore, è caratteristica del mondo anglosassone, ed in particolare del sistema americano. Fino agli anni 60, l’ottimismo verso la crescita aveva un orizzonte temporale definito, con innovazioni introdotte per migliorare la società nel breve periodo. A partire dagli anni 80, questa visione temporale si è progressivamente dilatata, fino ad un orizzonte temporale indefinito: le aziende americane si attendono un progresso delle condizioni di mercato nel futuro, ma questo futuro può essere anche piuttosto lontano. Dunque l’approccio è quello di monetizzare le invenzioni attuali attraverso progressi orizzontali (globalizzazione) e investire i ricavi per sperimentare con nuove tecnologie, che un giorno porteranno risultati.

La visione indefinita del mondo porta ad una progressiva riduzione degli investimenti, in quanto è complicato prevedere l’evoluzione futura di un settore, di un mercato o di una nazione. In questa visione emerge il modello “agile” estremamente in voga tra le startup: non è necessario investire tutte le risorse raccolte per creare un prodotto radicale, ma è fondamentale proporzionare gli investimenti e creare una versione minima di un prodotto su cui integrare funzioni sulla base dell’interazione coi clienti. Questo da un lato comporta lo sviluppo tecnologico verticale, ma “ridotto”: l’idea è originale e creativa, ma l’implementazione spesso è incrementale e orizzontale, e prende spunto da modelli già testati nello stesso settore, o in settori diversi.

Questo approccio porta ad una distribuzione non bilanciata dei tassi di successo delle startup: alcune – più radicali – crescono esponenzialmente, mentre la stragrande maggioranza – orizzontali – creano ricavi modesti, o addirittura negativi.

L’autore conclude con alcuni consigli pratici, basati sulla propria esperienza nel mondo imprenditoriale, su come strutturare una startup dal punto di vista dei fondatori e del team, delle vendite e dell’interazione con la tecnologia, elencando sette domande a cui fondatori ed investitori devono rispondere per valutare il potenziale di una startup.

Dal punto di vista del team, Thiel sottolinea che la partnership nella fondazione e nella gestione di una startup è un vincolo simile a quello di un matrimonio, e ogni disallineamento è combattuto alla pari di una separazione o un divorzio. Per mitigare i rischi, ogni partner deve avere una chiara visione delle tre seguenti dimensioni:

  1. Proprietà della società: chi controlla le quote? In che proporzione?
  2. Possesso della società: chi è incaricato della gestione quotidiana delle attività dell’azienda?
  3. Controllo della società: chi controlla formalmente la società?

Spesso, le persone coinvolte in queste tre attività hanno interessi potenzialmente divergenti, per cui un chiaro allineamento su ruoli, responsabilità e obblighi (come in un matrimonio) sono fondamentali per evitare discussioni e separazioni.

Allo stesso modo, tutti i dipendenti – secondo l’autore – devono:

  • essere totalmente allineati e in condivisione con gli obiettivi e la vision dell’azienda
  • avere un impiego a tempo pieno
  • ricevere compensi relativi alla crescita aziendale (come azioni e stock option)
  • essere valutati in base ad un singolo obiettivo, di cui sono totalmente responsabili.

Per quanto riguarda le vendite, diversi approcci e metodi sono disponibili in base alle fasce di prezzo dei prodotti e servizi.

Ai due estremi troviamo vendite di prodotti e servizi al di sotto dei 10$ e al di sopra dei 10 milioni di $: per i primi, l’autore consiglia di investire fondi limitati in campagne di marketing potenzialmente virali. Per i secondi, le vendite complesse, è necessario l’intervento personale dell’amministratore delegato dell’azienda, che deve interfacciarsi direttamente con la sua controparte dell’azienda cliente. Per i prodotti da 1.000$ e 10.000$, le vendite possono essere condotte dai responsabili commerciali verso le loro controparti delle aziende clienti. Per i prodotti da 10$ a 100$, invece, la pubblicità resta il migliore mezzo per raggiungere il numero più alto di potenziali clienti.

Thiel sconsiglia di offrire prodotti e servizi nella fascia compresa tra i 100$ e i 1000$: appaiono troppo costosi ai consumatori singoli per giustificare un acquisto “self-service” guidato da pubblicità o campagne di marketing mirate, ma troppo poco redditizi per giustificare una vendita attraverso personale dipendente.

I MOTIVI DEL FALLIMENTO DI UNA START-UP

Perché molte startup, e molti trend emergenti (come l’energia verde) falliscono?

Secondo l’autore, è perché queste non riescono a rispondere ad almeno una delle sette domande, necessarie per valutare il potenziale di una startup:

  1. The Engineering Question: l’azienda è in grado di creare tecnologie breakthrough, o solo incrementali?
  2. The Timing Question: è questo il miglior momento per lanciare un’azienda in un determinato settore?
  3. The Monopoly Question: l’azienda parte in condizioni di monopolio (controllo) in un mercato sufficientemente piccolo?
  4. The People Question: l’azienda ha le persone giuste all’interno del suo team?
  5. The Distribution Question: l’azienda ha un modo non solo per creare, ma anche per distribuire un prodotto/servizio?
  6. The Durability Question: il posizionamento dell’azienda sarà difendibile sul mercato nei prossimi 10 o 20 anni?
  7. The Secret Question: l’azienda ha identificato un’opportunità unica sul mercato che nessun altro ha visto?

In caso di risposte positive a tutte e sette le domande, Thiel consiglia di investire nella startup di riferimento. In caso contrario, no.

LE NOSTRE CONSIDERAZIONI

Il libro porta una tesi contraria rispetto a quanto teorizzato in ambito economico: per creare progresso tecnologico, le aziende devono operare in contesti di monopolio. Solo in questo modo saranno in grado di (re)investire i profitti nella creazione di nuovi prodotti e servizi. La concorrenza, invece, ha un effetto deteriorante sui margini, e nel tempo riduce la capacità delle aziende di investire in nuove tecnologie.

Thiel adotta questa tesi, combinata alla sua esperienza personale come imprenditore e investitore nel mondo delle startup, per descrivere come strutturare e valutare correttamente il valore delle nuove aziende.

Il punto di vista dell’autore è parzialmente in contrasto con la visione del mondo “agile”: le startup di successo sono quelle che riescono a creare tecnologie radicali e breakthrough, con un’efficienza dieci volte superiore a tutti i beni e servizi presenti sul mercato. Questo non avviene con l’approccio lean, che combina un piccolo investimento in nuovi prodotti e servizi in fase iniziale, salvo poi sviluppare competenze “orizzontali”, prendendo in prestito modelli già testati nello stesso o in altri mercati, per ridurre il rischio e modulare gli investimenti nel tempo. Secondo Thiel, questo approccio limita la capacità di generare vera tecnologia innovativa, che generi progresso con un salto in verticale.

Sicuramente, il libro offre qualche spunto pratico per chiunque voglia intraprendere un’attività imprenditoriale: i fondatori devono vivere in gruppo ed essere estremamente affiatati tra loro (il riferimento alla sua esperienza con i co-fondatori e soci all’interno di PayPal, definiti “the PayPal Mafia” nell’ambiente della Silicon Valley). Inoltre, indica il modo di rapportarsi con i dipendenti per creare un’organizzazione di successo: assumere persone il più possibile simili tra di loro, esclusivamente in impieghi a tempo pieno, utilizzando strumenti di remunerazione per allineare le aspettative dei singoli con quelle dell’azienda. Infine – prendendo il punto di vista di un investitore – offre una disamina delle caratteristiche dei fondatori e delle startup necessarie per creare un’azienda di successo.

Il principale limite del libro è quello di concentrare solamente l’attenzione sulle startup e le dinamiche tipiche del modello americano della silicon valley: dall’approccio al business ottimistico improntato ad un orizzonte temporale indefinito, alla logica di distribuzione delle startup all’interno di un portafoglio di investimento, fino all’utilizzo di esempi di prima mano o relativi ai co-fondatori di PayPal nell’evoluzione delle loro attività imprenditoriali in seguito alla vendita dell’azienda a eBay, avvenuta nel 2002. Tutte questi ingredienti offrono un quadro chiaro delle dinamiche secondo cui l’imprenditorialità è strutturata nel contesto californiano, ma risultano poco generalizzabili per il resto del mondo.

IL LIBRO IN PILLOLE

  • Il progresso è creare cose nuove (da 0 a 1) o riprodurre cose nuove (da 1 a n). Il primo, molto più importante, è la creazione di nuova tecnologia, il secondo rappresenta la globalizzazione
  • In un contesto dinamico, la competizione sul mercato non crea progresso, ma nel tempo riduce la capacità delle aziende di investire nella creazione di nuove tecnologie. Il monopolio consente di investire in nuove attività creative.
  • Per creare un mercato monopolio, sono necessarie tre condizioni:
  1. la presenza di tecnologie proprietarie, almeno dieci volte migliori di ogni bene/servizio sostituto disponibile.
  2. La presenza di effetti network positivi e di economie di scala, per garantire la crescita dell’azienda.
  3. la creazione di un forte brand per difendere il posizionamento da nuovi entranti.
  • Il mercato iniziale di una startup deve essere abbastanza grande da generare profitto, ma abbastanza piccolo da poter essere catturato in breve tempo.
  • Il team di fondatori di una startup è fondamentale, e il rapporto tra i partner deve essere trattato come un matrimonio: sempre meglio avere bene in chiaro controllo, responsabilità e obblighi.
  • Per le vendite di prodotti sotto i 100$, campagne di marketing virale e pubblicità rappresentano la soluzione più efficace. Per tutte le vendite sopra i 1.000$, il rapporto personale tra venditori e compratori è fondamentale. Evitare di proporre beni e servizi tra $100 e $1000: l’effort per la loro vendita è antieconomico.
  • Esistono 7 condizioni che determinano la probabilità di successo di una startup. Se questa risponde a tutte e sette le caratteristiche è consigliabile investire su di essa. In caso contrario, no.